Se provi una sensazione di fastidio, disgusto o addirittura paura alla vista di immagini con molti piccoli buchi ravvicinati—come gli alveari, le spugne naturali o certi frutti—potresti essere soggetto a un fenomeno chiamato tripofobia.
Cos’è la tripofobia?
La tripofobia è una intensa reazione di disgusto oppure ansia che si manifesta davanti a motivi formati da piccoli buchi, cavità, protuberanze o altre forme geometriche ripetitive e molto vicine tra loro. Tipici esempi che possono innescare questa reazione sono: favi di api, semi di loto, spugne marine o determinate piante e frutti. Si tratta, di fatto, di un disturbo comune, anche se il termine è relativamente recente e non trova ancora spazio tra le fobie ufficialmente riconosciute nei principali manuali diagnostici, come il DSM.
La reazione può spaziare dal semplice senso di disagio fino a sintomi fisici più marcati, come nausea, accelerazione del battito cardiaco, sudorazione, oppure un impellente desiderio di distogliere immediatamente lo sguardo dallo stimolo scatenante.
Origini e cause della tripofobia
Sebbene la tripofobia sia diventata argomento di discussione soprattutto a partire dal 2013, le sue cause precise rimangono oggetto di ricerca e dibattito nella comunità scientifica. Fra le ipotesi più accreditate figurano:
Il dibattito scientifico continua, ma il denominatore comune resta la reazione viscerale davanti a immagini che per la maggior parte delle persone risultano innocue.
Sintomi e manifestazioni
La manifestazione della tripofobia può essere molto variabile. Alcuni degli effetti psicofisiologici più comuni comprendono:
Di solito, queste reazioni compaiono subito dopo l’esposizione allo stimolo: basta vedere una foto online, oppure osservare oggetti reali come una spugna naturale o i fori di un formaggio svizzero. Alcune persone arrivano a evitare attivamente situazioni o immagini che possano contenere tali pattern, mettendo in atto un vero e proprio comportamento di evitamento.
Tripofobia: diagnosi e trattamento
La tripofobia non è ancora riconosciuta ufficialmente come disturbo psichiatrico, per questo chi ne soffre non trova il termine nei manuali clinici principali come il DSM-V. Tuttavia, la questione è molto sentita dagli psicologi, soprattutto a causa del numero crescente di persone che riportano difficoltà e disagio nella vita quotidiana a causa di questa sensibilità.
Nozioni per la diagnosi:
Attualmente non esistono test ufficiali standardizzati, ma molte cliniche e specialisti valutano la sintomatologia con questionari specifici o attraverso il racconto diretto delle reazioni avute davanti a tipici pattern scatenanti.
Strategie di trattamento:
È importante ricordare che, nella maggior parte dei casi, la tripofobia non compromette in modo concreto la vita quotidiana, a meno che non provochi veri e propri comportamenti di evitamento o attacchi di panico ripetuti.
Tripofobia: curiosità e diffusione
Negli ultimi anni, la tripofobia è diventata estremamente popolare anche sui social network, dove molti utenti condividono immagini “scatenanti” per testare la propria reazione o quella degli altri. La quantità di persone che dichiarano di provare fastidio, tuttavia, dimostra che non si tratta di una risposta rara.
Inoltre, questa particolare sensibilità è facilmente soggetta a suggestione: vedere qualcuno che reagisce con disgusto aumenta la probabilità di sviluppare una reazione simile. Circa il 15% della popolazione, secondo alcuni studi, manifesta almeno una volta nella vita una sintomatologia tripofobica, anche se in forma lieve o occasionale.
Esempi tipici di oggetti che possono scatenare la reazione includono:
Nonostante le tante immagini e storie virali, la scienza non ha ancora inserito la tripofobia tra i disturbi ufficiali, ma la sua esistenza e diffusione la rendono oggetto di crescente attenzione sia da parte della ricerca che della divulgazione psicologica.
In conclusione, la tripofobia rappresenta una sensibilità sorprendentemente diffusa e variegata, che coinvolge meccanismi psicologici profondi e risposte istintive legate alla sopravvivenza. Ancora oggi, la comunità scientifica cerca di comprenderne a fondo le origini e le possibili modalità di intervento per chi ne viene disturbato.